venerdì 11 settembre 2009

09.2. Il pensiero politico nel 1300

Agli inizi del Trecento, nel corso di questa feroce lotta per il potere universale tra papa e imperatore e proprio mentre queste due istituzioni appaiono in fase declinante e si affermano gli Stati nazionali, viene elaborato un variegato pensiero politico, che copre ogni possibile alternativa. Il quesito a cui s’intende trovare una risposta è il seguente: a chi compete la sovranità?
Egidio Romano, che scrive intorno al 1300, ritiene che spetti al papa l’appellativo di signore assoluto del mondo per diritto divino.
Giovanni da Parigi, che scrive un paio di anni dopo, afferma che ogni potere deriva da Dio, tanto quello del re quanto quello del papa e che, pertanto, questi due poteri sono indipendenti ed entrambi sovrani.
Marsilio da Padova (1280-1343), che pubblica Il Difensore della pace nel 1324, è portatore di un pensiero apparentemente assai moderno e laico, ed è naturale che venga avversato dalla Chiesa e bollato come rivoluzionario sovversivo e attentatore dell’ordine pubblico e dello statu quo. Per Marsilio, come già per Aristotele, il cittadino è tale solo se “partecipa alla comunità politica” (I 12, 4). Non sono dunque cittadini “i bambini, gli schiavi, gli stranieri e le donne” (I 12, 4). La sovranità appartiene al popolo, che la esercita attraverso la potestà legislativa, in modo diretto o indiretto, tramite rappresentanti: “l’autorità di fare le leggi spetta all’intero corpo dei cittadini” (I 12, 8), “oppure a quella o quelle persone alla quale o alle quali l’intero corpo dei cittadini ha concesso questa autorità” (I 13, 8) per mezzo di libere elezioni. Personalmente, Marsilio sembra preferire la monarchia elettiva (I 16. 18). Secondo il Padovano, il genere di governo elettivo è superiore a quello non elettivo, anche perché soltanto col metodo elettivo si può avere il governante migliore (I 9, 7). Il legislatore ultimo rimane comunque il popolo, che consiste o nell’intero corpo dei cittadino o nella parte di essi prevalente per quantità e qualità (I 12, 3). In ogni caso, il corpo dei cittadini conserva “il diritto di correggere il governo e di deporlo, se sarà vantaggioso per il bene comune” (I 14, 1-2).
Il principale obiettivo che muove lo sforzo intellettuale del Padovano e serve da filo conduttore della sua opera è la critica del potere politico del papa e della ricchezza della chiesa. Marsilio vede nelle pretese politiche del papa un atto ingiustificato e una minaccia per la pace. Cristo, infatti, non avrebbe investito d’autorità sulle cose umane gli uomini di chiesa. “Pertanto, ciascun sacerdote o vescovo soggiace e deve soggiacere, al pari dei laici, alla giurisdizione dei principi in tutte quelle norme cui la legge umana prescrive di attenersi” (II 8, 9). Nemmeno il papa può pretendere di sfuggire a questa regola e porre sotto la propria autorità il clero, sottraendolo alla legittima giurisdizione del principe (II 8, 9). Per quel che concerne i peccati contro la legge divina, l’unico giudice è Cristo (II 10, 2) e il suo giudizio verrò pronunciato nell’aldilà (II 10, 11). Ne discende che gli eretici non dovranno essere processati dai ministri della chiesa, ma solo dalle autorità civili e solo per i reati comuni.
La chiesa deve osservare la povertà materiale e spirituale. Cristo, infatti, ha detto che i poveri meriteranno il regno dei cieli e per poveri non intendeva soltanto gli indigenti, ma soprattutto coloro che volontariamente rinunciano alle ricchezze, ossia ai beni temporali “che non sono necessari per il sostentamento” (II 13, 17). La povertà cui si riferisce Cristo è “una disposizione interiore della mente” (II 13, 14). L’avidità e la bramosia allontanano la persona dal regno dei cieli, e non vale la scusa di chi affermi di non essere legato alle proprie ricchezze, perché “dove c’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore” (Mt 6, 21). Ne consegue che i presbiteri dovranno osservare la povertà evangelica e non devono avere né bramare potere sulle cose o sulle persone, ma solo una generica autorità morale, oltre all’autorità di amministrare i sacramenti, che dev’essere esercitata in modo uguale da tutti i presbiteri, dal semplice sacerdote al papa (II 15, 4). Il papa non ha ricevuto da Cristo “un potere delle chiavi maggiore di quello degli altri sacerdoti” (II 15, 4). E il fatto che i papi riconducano la propria autorità sulle persone e sulle cose alla volontà dell’imperatore Costantino dimostra e conferma, secondo Marsilio, che il potere del papa origina da quello dell’imperatore, gli è subordinato (II 18, 7). In definitiva, nessun vescovo ha autorità nei confronti di qualsiasi altro (II 16, 19), ma ogni vescovo è indifferentemente successore di ciascun apostolo. “La sola cosa che possiamo senza dubbio concedere è che Pietro ebbe un certo primato sui compagni in virtù della sua età” (II 16, 4).
Né i vescovi, né il papa hanno autorità nei confronti delle istituzioni dello Stato (II 21). Sbaglia dunque Bonifacio VIII a pretendere che tutti i principi del mondo siano soggetti “alla giurisdizione coattiva del papa di Roma” (II 21, 9). (Marsilio si riferisce all’Unam Sanctam promulgata dal pontefice nel 1302). Il potere rivendicato dal papa è illegittimo, perché vietato da Cristo, ed è pericoloso per la pace (II 21, 14). I papi si sono appropriati in modo fraudolento della «pienezza del potere» e, a causa di esso, vengono commesse “moltissime mostruosità contro la legge divina e umana, e contro il retto giudizio di chiunque abbia la ragione” (II 23, 13). Secondo Marsilio, la massima autorità della chiesa è il concilio generale dei cristiani e ad esso spetta il diritto di ultima parola sull’interpretazione della Sacra Scrittura (II 20, 2), ed è solo a motivo dell’impossibilità materiale di consultarlo sistematicamente che si rende necessaria la presenza dei vescovi. Con la sua presunta pienezza di potere, sostiene il Padovano, il papa sta avvelenando i rapporti fra i popoli e il solo modo di riconquistare la pace è di mettere ogni cosa a suo posto, dando a Cesare il potere che gli spetta secondo la legge e ai presbiteri il ruolo assegnato loro da Cristo.
Il pensiero di Marsilio è segnato da note di contrattualismo, di giuspositivismo, di laicismo con separazione Stato-Chiesa, e afferma i princìpi di sovranità popolare e rappresentanza, ma non è immune dalla temperie culturale del suo tempo, e lo si capisce dall’ammiccamento alla monarchia e dal riconoscimento del diritto della chiesa ad esistere.

Nessun commento:

Posta un commento