venerdì 11 settembre 2009

05. Il Sacro Romano Impero Germanico

Alla morte di Ottone III il potere imperiale lascia la Sassonia per la Baviera e viene assunto da un nipote di Enrico I l’Uccellatore, Enrico II (1002-24) che, a causa di una politica apertamente filo-ecclesiastica, si guadagna la canonizzazione e diviene santo. Gli succede il duca di Franconia, Corrado II (1024-39), che inaugura una nuova dinastia. Corrado è inviso in molte parti dell’impero e deve faticare per domare i numerosi focolai di ribellione che, per sua fortuna, sono scarsamente organizzati. Nel 1026 scende in Italia e si ferma prima a Milano, dove cinge la corona ferrea, e poi a Roma (1027), dove riceve la corona imperiale. Allo scopo di rendere più stabile il proprio potere e meno esposto ai capricci dei grandi elettori, Corrado rende la carica imperiale ereditaria e designa alla successione il figlio Enrico, senza con ciò sollevare, sorprendentemente, rilevanti opposizioni. Inoltre, con l’intento di ridimensionare l’immenso potere dei grandi feudatari, Corrado II svincola dal loro controllo i piccoli feudatari, cui riconosce il diritto di ereditarietà (Costitutio de feudis, 1037) ma, così facendo, finisce con l’indebolire l’intero sistema imperiale, che tende a frazionarsi sempre più, mentre si vanno aprendo nuovi spazi nei quali comincia ad inserirsi la nascente borghesia.
Di questa particolare situazione cerca di approfittare il papa, allo scopo di emanciparsi dal pesante giogo dell’imperatore e, se possibile, imporre il proprio potere universale su quello dell’imperatore stesso. Ne nasce un conflitto, che segna la storia dell’intera dinastia di Franconia, già a partire dal figlio di Corrado II, Enrico III (1039-56), ma che raggiunge il suo acme sotto il figlio di quest’ultimo, Enrico IV (1056-1106), quando il baldanzoso Gregorio VII, sotto la minaccia di scomunica, intima all’imperatore di non continuare a nominare vescovi ed abati (1075). Nasce così la cosiddetta lotta per le investiture, che si rivelerà estenuante per entrambi i fronti. Da parte sua, il papa ha solo da guadagnare e nulla da perdere. L’imperatore invece teme che la condanna papale venga strumentalizzata dai grandi feudatari e dai comuni lombardi, allo scopo di ribellarsi all’imperatore e guadagnare l’indipendenza, come in effetti accadrà. Della situazione intende approfittare il signore della Svevia, Rodolfo, che da tempo aspira alla corona di Germania e forse anche a quella imperiale. In vista dello scontro, Enrico IV riunisce intorno a sé tutti i possibili sostenitori. Uno di questi è Federico di Beuren, signore del castello di Hoenstaufen. A lui Enrico IV promette, in caso di vittoria, la propria figlia Agnese, che gli porterà in dote il ducato di Svevia. Così avviene e Federico diviene duca di Svevia e capostipite di una nuova dinastia.
La lotta per le investiture si conclude dopo mezzo secolo, sotto il regno di Enrico V (1106-25), figlio di Enrico IV, con il concordato di Worms (1122), che riconosce al papa il diritto all’investitura spirituale di vescovi ad abati e all’imperatore quello dell’investitura temporale. È un compromesso che apparentemente chiude la questione senza vincitori, né vinti, ma che, in realtà, avvantaggia il papa.
Con Enrico V si estingue la dinastia di Franconia e si apre una lotta per il potere che, per quasi trent’anni, vede opposti i sostenitori della casa di Svevia, detti ghibellini dal castello svevo di Wibeling, e quelli della casa di Baviera, chiamati guelfi da Welf, loro capostipite. Inizialmente, il potere imperiale ritorna al duca di Sassonia, Lotario II (1125-37), ma poi passa alla famiglia sveva degli Hohenstaufen, che conquista il trono con Corrado III (1138-52). Intanto gli equilibri generali non sono cambiati e il potere dell’imperatore rimane indebolito non solo dalle mire indipendentiste dei grandi feudatari e dei comuni lombardi, ma anche dalle ambizioni del papa, che continua a puntare sulla conquista del potere universale. Il concordato di Worms, insomma, rappresenta solo una tappa e non la conclusione di una lotta per il potere tra papa e imperatore, che raggiunge punte di particolare asprezza sotto il nipote di Corrado, Federico Barbarossa (1152-90), il quale, dopo aver posto fine agli scontri dinastici, grazie ad un accordo politico con i guelfi, deve affrontare le città lombarde, che si sono costituite in lega in difesa della propria indipendenza, potendo contare sull’appoggio del papa. Alla fine la Lega lombarda riesce ad imporsi militarmente sul Barbarossa (Legnano, 1176) e i comuni ottengono il riconoscimento della propria indipendenza (pace di Costanza, 1183). La perdita dei comuni lombardi viene compensata dall’impero con l’acquisto del regno normanno delle Due Sicilie, grazie al matrimonio del futuro Enrico VI (1190-7), figlio del Barbarossa, con Costanza d’Altavilla, ultima discendente della dinastia normanna, che gli dà un figlio: il futuro Federico II (1212-50).
Rimasto orfano all’età di tre anni, Federico viene allevato a cura di Innocenzo III e cresce sviluppando una tipica mentalità da normanno, più che da svevo, finché non viene eletto imperatore (1212), sempre col sostegno del papa. Uomo di vasta cultura e di larghe vedute, Federico si mostra tollerante verso le altre religioni e manifesta una certa simpatia per l’Islam, tanto che, nella sua sfarzosa corte di Palermo, accoglie eruditi cristiani, ebrei ed arabi, dando loro modo di riunirsi e dialogare; mentre, con le Costituzioni di Melfi (1231), sembra orientato verso la realizzazione di uno Stato laico, dove il potere sia fondato non più solamente in Dio, ma anche nella “forza delle cose” (HORST 2003: 167), il che gli merita l’appellativo di primo uomo del Rinascimento. Ce n’è abbastanza perché Federico entri in conflitto coi papi, i quali peraltro temono di rimanere schiacciati da un impero che sembra accerchiarli da nord e da sud. Non passa molto tempo prima che la dinastia degli Hohenstaufen, sempre osteggiata dai papi, giunge all’estinzione. Ciò avviene sotto Corrado IV (1250-4), figlio dello stesso Federico II e padre dello sfortunato Corradino, che è sconfitto e messo a morte da Carlo d’Angiò (1268).

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