venerdì 11 settembre 2009

03. I Comuni italiani

I principali elementi che caratterizzano il Comune sono la cultura urbana, un’economia commerciale e la rilevanza del ceto borghese. La borghesia non produce cibo, ma denaro. Le città più ricche cominciano a coniare monete proprie e alcune di queste (il fiorino di Firenze, il ducato di Venezia) vengono accettate in tutta Europa. Col denaro si può acquistare ogni cosa, cibo, casa, abbigliamento, terra, strumenti di lavoro, e anche generi voluttuari e superflui, perciò esso diviene la risorsa per eccellenza.
A seconda del giro di affari, si distinguono l’Alta, la Media e la Piccola borghesia, che sono organizzate in potenti corporazioni, ossia in associazioni padronali (ne sono esclusi i salariati) aventi lo scopo di tutelare gli interessi degli associati e proteggerli dalla concorrenza estera. Esse presiedono ai principali settori produttivi, con l’eccezione delle campagne, stabilendo la quantità, la qualità e i prezzi delle merci, e i mercati dove venderle: in pratica detengono la gran parte del potere economico. Si distinguono sette arti maggiori, più ricche (giudici e notai, medici e speziali, earti legate alla produzione di generi di lusso, come lana, seta e pellicce), e quindici arti minori (albergatori, fornai, conciatori, ecc.), delle quali alcune sono considerate di medio livello (fabbri, calzolai, macellai, ecc.). L’organizzazione corporativa della borghesia costituisce un elemento di novità rispetto al passato, quando a contare era solo il re, il sacerdote e pochi altri funzionari.
Le attività borghesi esigono primariamente libertà (libertà di iniziativa, libertà di associazione, libertà di scambio), ma la città non è libera. Essa, infatti, fa parte del sistema feudale e dipende, in ultima istanza dall’imperatore o dal papa, che, oltre a limitarne la libertà, le impongono anche delle tasse. Specialmente all’interno dell’alta e della media borghesia, sono sempre più numerosi coloro che vogliono liberarsi dalla dipendenza vassallatica e amministrarsi autonomamente, così avviene che alcune città riescono ad ottenere l’indipendenza o con l’uso della forza o, più spesso, dietro pagamento di denaro, divenendo Comuni. Il Comune dunque altro non è che una città autonoma, una sorta di polis o città-stato, che ha leggi proprie e un esercito proprio, può dichiarare guerra e concludere la pace ed è governata “democraticamente” da tutti i cittadini possidenti, che sono una minoranza. I salariati, i contadini, le donne e i non-cristiani (come gli ebrei, ai quali sono permesse attività ritenute disdicevoli ad un cristiano, quale l’usura) restano esclusi dalla vita politica.
I cittadini cominciano a radunarsi intorno alla chiesa del borgo, dove il parroco li chiama in assemblea al suono delle campane per discutere le questioni del momento e per concordare la raccolta dei tributi necessari alla realizzazione dei progetti concordati. Nascono così i primi parlamenti cittadini, che si pongono come valida alternativa politica al potere del castellano. Su una popolazione di ventimila abitanti, qual è quella di Siena, Pisa, Lucca e Mantova, si calcola che gli aventi diritto al voto siano circa quattromila. E non può essere che così. Una democrazia egualitaria, infatti, sovvertirebbe tutto l’ordine decretato da Dio che, secondo l’opinione corrente, ha creato gli uomini disuguali e ordinati in modo gerarchico, secondo il loro valore. Sotto questo aspetto c’è però un’importante differenza tra una società aristocratica tradizionale e una società comunale del Duecento: nella prima il valore di un uomo è legato alla sua nascita, nella seconda alle sue disponibilità economiche. Inizialmente il governo della città è affidato all’Assemblea di tutti i cittadini maschi appartenenti alle corporazioni, chiamata Parlamento o Arengo, in seguito viene riservato ai cittadini più ricchi, i quali nominano al loro interno uno o più Consoli, che restano in carica un anno.
Più la città acquista potere e ricchezza e più si avverte la necessità di difenderla da eventuali attacchi dall’esterno. Perciò si inizia a circondarla di mura, badando soprattutto a fortificare il centro, dove ha la sede il palazzo comunale e la cattedrale. Tutt’intorno si estendono le abitazioni civili, per lo più case modeste, attaccate l’una all’altra e separate da strade strette. Le finestre non hanno vetri, ma un semplice telo. Solo poche case dispongono di servizi igienici, costituiti da una loggetta sporgente sulla strada. I rifiuti si gettano direttamente sulla via. Il punto di riferimento per tutti gli abitanti è la piazza, vero centro degli affari, dove si svolge il mercato. Artigiani e mercanti hanno le loro botteghe disseminate per tutta la città, ma, talora, si concentrano per categoria in un’unica via, alla quale danno il nome (es.: Via dei Calzolai, Via dei Mercanti, Via dei Fabbri).
Abitualmente le famiglie più potenti della città gareggiano per le cariche più prestigiose e redditizie e, per tale motivo, entrano spesso in conflitto tra loro, tanto da mettere in pericolo lo stesso ordine sociale e la stabilità politica. A ciò si aggiungano le pretese dei nuovi ricchi, vale a dire degli esponenti dell’alta borghesia, che aspiravano ad inserirsi nella lotta per il potere. Nel tentativo di risolvere questo problema, si stabilisce di affidare il governo della città ad un forestiero, il cosiddetto Podestà, che rimane in carica per un anno . Ma nemmeno il Podestà può impedire le rivalità fra le famiglie più nobili e facoltose, e i disordini sociali continuano, e a nulla vale la figura del Capitano del popolo, che si vuole affiancare al Podestà, allo scopo di difendere gli interessi della borghesia contro le prepotenze della nobiltà. Perciò lo scontento generale è grande.
Mentre i Comuni si vanno affermando, il feudatario continua a vivere nel proprio castello, che non è solo la dimora del signore, ma anche “un bene della collettività” (MONTANELLI, GERVASI 1997: 110), un rifugio per i contadini dei dintorni in caso di pericolo. È dunque lecito che il signore pretenda, da parte dei contadini, “un terzo dei prodotti della terra” (MONTANELLI, GERVASI 1997: 111). Diverso è il punto di vista degli abitanti dei Comuni, i quali, dopo che si sono cintati di mura, ritengono di essere in grado di proteggersi da sé, e vedono nel castellano “solo un rastrellatore di oboli” (MONTANELLI, GERVASI 1997: 111).

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