venerdì 11 settembre 2009

02. Papato e Impero tra XI-XII secolo

Fino al 1054 il papato viene gestito come un affare privato di alcune famiglie romane e conserva una valenza politica prevalentemente locale. Solo dal 1054, anno del grande scisma tra la chiesa di Roma e quella di Bisanzio, si realizzano le condizioni politiche favorevoli all’idea di primato universale del papa.
Una prima svolta si ha sotto Niccolò II (1059-61), che, nella bolla In nomine Domini (1059), restringe il corpo elettorale del papa ai soli cardinali, liquidando la partecipazione dei laici e, nella sostanza, anche quella dell’imperatore. Così, la tradizionale acclamazione popolare viene sostituita da una forma di acclamazione di tipo aristocratico, riservata cioè ad un ristretto gruppo di elettori preventivamente designati dal papa stesso. Nello stesso tempo, il papa cambia politica, allontanandosi dall’imperatore e appoggiandosi alla potenza emergente dei normanni, i quali, dal canto loro, prestano al pontefice giuramento di vassallaggio. Il papa può ora godere di un’autonomia politica tale da rafforzarlo nella sua vanagloria fino alla farneticazione.
Così, invertendo una tradizione secolare, Gregorio VII (1073-85), col Dictatus papae, stabilisce che spetta al papa il diritto di consacrare e deporre gli imperatori e, a maggior ragione, afferma che è diritto esclusivo del papa di consacrare e destinare i vescovi nelle sedi più opportune. Viene abrogata, in tal modo, la consuetudine che assegna all’imperatore il diritto di concedere episcopati nei propri territori. Ovviamente l’imperatore non può accettare queste nuove condizioni. Inizia così la “lotta delle investiture”.
Da questo momento, il papa può esercitare un potere politico primario, alternativo a quello dell’imperatore, e può aspirare ad un effettivo dominio universale del mondo, che egli intende realizzare attraverso la cristianizzazione del mondo stesso. Si afferma così lo spirito delle crociate. A parte l’indulgenza plenaria dei peccati, al crociato vengono concesse un’immunità di tasse e gabelle e una moratoria dei debiti. Il papa che lega il suo nome alla prima crociata è Urbano II (1088-99). Non tutti vedono di buon occhio l’autocrazia papale e qualcuno sogna di creare a Roma un governo repubblicano, indipendente da ogni potere assoluto.

02.1. Le crociate
Mentre visita il Santo Sepolcro, un eremita, di nome Pietro, rimane costernato e risentito a causa delle ingiustificate sofferenze dei cristiani che vivono in quella sacra Terra e, rivoltosi in lacrime al patriarca del luogo, chiede perché l’imperatore d’Oriente rimanga immobile di fronte a cotanto spettacolo. Il patriarca gli spiega che l’imperatore avrebbe piacere di risolvere quel problema, ma ne è impedito dalla sua debolezza. Queste parole hanno l’effetto di far ribollire l’animo di Pietro e lo accendono di fanatico furore: se l’imperatore è impotente, egli si rivolgerà al papa e ai principi europei. Di ritorno da suo viaggio, Pietro l’Eremita diffonde il suo messaggio in Europa e riceve l’immediato appoggio del papa, il quale convoca un primo concilio a Piacenza (marzo 1095) e un secondo a Clermont (novembre 1095), dove ha modo di parlare a centinaia di vescovi e signori e a migliaia di persone comuni, che plaudono commossi al disegno del papa di liberare la Terrasanta dagli infedeli. “Dio lo vuole”, gridano con appassionata partecipazione. “È infatti la volontà di Dio”, conferma il papa e si stabilisce la data di partenza delle truppe, il 15 agosto dell’anno seguente (GIBBON 1967: 2357-62).
La facilità con cui i racconti struggenti di Pietro l’Eremita e l’accorato appello di Urbano II hanno guadagnato il consenso di tutte le classi sociali prova che lo spirito di crociata rispecchia il comune sentire di un’epoca. Nell’XI secolo i cristiani europei sono convinti che la Terrasanta appartiene a loro di diritto e che è un loro preciso dovere cacciare gli empi musulmani, che profanano il Santo sepolcro e opprimono i pellegrini che vogliono visitare i luoghi dove ha predicato il loro divino Salvatore. Questa è la principale ragione religiosa della crociata, ed è tanto forte e generalizzata che già da sola può spiegare il fenomeno, anche se non è la sola ragione. Nello stesso periodo in cui viene bandita la prima crociata è diffusa la credenza che i cristiani devono espiare i loro peccati per alleviare le pene del purgatorio e, a tale scopo, essi sono soliti praticare elemosine e offerte alla chiesa, oppure, in mancanza di denaro, sottopongono il proprio corpo ad ogni genere di mortificazione. Ad ogni peccato corrisponde una somma di denaro o una penitenza fisica e sono in molti ad essere in debito sotto questo riguardo. Ebbene, a tutte queste persone Urbano II concede l’indulgenza plenaria e la remissione di tutto il debito per propri peccati, purché si arruolino sotto la bandiera della croce.
Partire per la Terrasanta offre a borghesi e contadini l’eccezionale opportunità di “sottrarsi al giogo di un superbo padrone e trapiantarsi con le proprie famiglie in una terra di libertà” (GIBBON 1967: 2368), ai frati di emanciparsi dagli obblighi gerarchici, ai debitori di evitare la persecuzione dei creditori, ai criminali di sfuggire alle pene previste dalla legge. Insomma, molti peccatori vedono nella crociata una doppia opportunità: una a vantaggio della propria anima, l’altra nella prospettiva di potersi liberare dall’opprimente tirannia feudale ed ecclesiastica e portare a casa un sostanzioso bottino di guerra. Il fascino della crociata non risparmia nemmeno i ricchi signori, almeno quelli di secondo rango, i quali vedono in quell’impresa l’opportunità di mettere in luce le proprie qualità di condottiero e di conquistare un vasto regno, libero da obblighi vassallatici. Credendo di fare un ottimo investimento, molti signori mettono in vendita i loro beni, che a causa dell’elevata offerta, subiscono un deprezzamento, così che i fortunati acquirenti, quelli cioè che hanno deciso di non arruolarsi, si arricchiscono.
Le motivazioni a favore della crociata sono tante e tali da indurre decine di migliaia di indisciplinati pellegrini di infino ceto sociale a mettersi in cammino verso la Terrasanta già nella primavera del 1096, senza aspettare la data stabilita, e vanno incontro ad una totale disfatta. Dopo questa improvvisata e fallimentare spedizione, col suo carico pesante di morti, la prima crociata (1096-99) si svolge secondo i programmi ed è coronata da successo, tant’è che i cristiani possono costituire il regno di Gerusalemme, il principato di Antiochia, la contea di Edessa e la contea di Tripoli. Alla prima crociata ne seguiranno altre, per un paio di secoli, ma nessuna ripeterà il successo della prima.
Nonostante i mediocri risultati sul piano militare, le crociate finiscono per svolgere importanti e positive funzioni, come quella di mettere a stretto contatto il mondo occidentale con la superiore cultura orientale o quella di incrementare il commercio e l’industria. Un altro vantaggio della crociata è quello di sollevare le popolazioni europee dalla piaga della criminalità comune e dalle imprese predatorie perpetrate da una moltitudine di nobili cadetti, le cui ambizioni vengono ora deviate verso i luoghi santi. Ha tutte le ragioni Bernardo di Clairvaux (1090-1153) di ringraziare la provvidenza divina per il fatto che cavalieri “scellerati ed empi, rapinatori e sacrileghi, omicidi, spergiuri e adulteri” partano per Gerusalemme a combattere gli infedeli, e di esortare i cristiani a combattere contro gli infedeli perché “la morte, data o ricevuta per Cristo, non comporta nessun crimine e fa meritare molta gloria”. Secondo Bernardo, il crociato può uccidere e farsi uccidere impunemente e con merito. Il risultato di questa perversa e fanatica logica non fu, dunque, solo negativo.

La lotta delle investiture ha termine, sotto il pontificato di Callisto II (1119-1124), con il concordato di Worms (1122), il quale stabilisce che l’investitura spirituale del vescovo spetta al papa, quella feudale all’imperatore. L’anno seguente (1123) si celebra in Laterano il nono concilio ecumenico (il primo in Occidente), che conferma il primato del papa su tutti gli altri vescovi e anche sulle autorità civili. È la consacrazione della concezione teocratica di Gregorio VII, che pone il papa al vertice del mondo. Oltre non si potrà andare. E in effetti siamo all’apice della potenza papale, che da quel momento inizierà a declinare, nonostante che i papi tenteranno, in ogni modo, di frenare il corso della storia. È la negazione del principio evangelico “i primi saranno gli ultimi”. Se questo principio è valido, il papa del XII secolo, che è al primo posto su questa terra, sarà ultimo nell’aldilà.

02.2. Decretum Gratiani
Alla prima metà del XII risale l’opera del monaco Graziano, che è tesa ad ordinare passi biblici e tradizione ecclesiale in un corpo giuridico unitario, il cosiddetto Decretum Gratiani, che, in pratica, è la visione della politica internazionale secondo la chiesa. In particolare, vi si afferma la divisione dei poteri tra sfera religiosa e laica, ma si sottolinea la superiorità della prima sulla seconda. Il papa deve occuparsi di questioni spirituali e temporali e deve poter esercitare una qualche supremazia sull’autorità imperiale.

Sotto il pontificato di Eugenio III (1145-53), Arnaldo da Brescia accende gli animi della popolazione romana, orientandola favorevolmente alla creazione di una repubblica romana. Arnaldo ha successo, ma il papa, ovviamente, non è d’accordo e chiede aiuto a Federico Barbarossa, che glielo offre, ricevendo in cambio la promessa della corona imperiale.
Ma ci vuole tempo perché il Barbarossa possa intervenire e, intanto, Anastasio IV (1153-4) riesce a convivere tranquillamente con la Repubblica.
Nel 1155 Federico scende in Italia e consegna Arnaldo al papa, che lo fa impiccare. Poi, nel rispetto degli accordi, viene incoronato imperatore in San Pietro dal papa Adriano IV (1154-9).
Le città lombarde, che non gradiscono l’invadenza del Barbarossa, si stringono in una lega e acclamano Alessandro III (1159-81) loro protettore. Poi sconfiggono l’imperatore a Legnano (1176). Per il papa è un successo. Alessandro III trova il modo di assicurare un regolare ordine di successione al trono pontificio, “abolendo le tumultuose elezioni del clero e del popolo e attribuendo al solo collegio dei cardinali il diritto di scegliere il papa” (GIBBON 1967: 1773). Il numero dei cardinali elettori è di una ventina ed è richiesta la maggioranza di due terzi.

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