venerdì 11 settembre 2009

06. Il primato universale del papa nel XIII secolo

Nel XIII secolo, il potere dei papi è tale che essi possono ambire ad un effettivo primato universale. Tale primato è invocato con forza da Innocenzo III (1198-1216), che si fregerà del titolo di “vicario di Cristo”. Siamo in pieno delirio di onnipotenza, che è del tutto estraneo allo spirito evangelico. Innocenzo III è uno dei papi più potenti della storia, una sorta d’incarnazione dell’ideale teocratico gregoriano: condiziona la politica internazionale e molti re gli rendono l’omaggio feudale. Nella bolla Venerabilem (1202), Innocenzo III, pur riconoscendo ai principi elettori il diritto di eleggere l’imperatore, avoca al papa il diritto di esaminare le virtù cristiane dell’eletto, prima di consacrarlo e, in caso di esito negativo, il diritto di respingere anche un’elezione unanime.
Se si confronta la corte di Innocenzo con quella di qualsiasi altro monarca si fa fatica a cogliere sostanziali differenze: lo sfarzo è identico, e anche la condotta e gli obiettivi. Ma Cristo non aveva esaltato i poveri e condannato i ricchi? Molti cristiani sono allibiti dal comportamento dei papi e fondano delle comunità che vivono in povertà (Umiliati, Spirituali, Gioachimiti, Fratelli Penitenti), delle quali riescono a sopravvivere solo quelle che non condannano apertamente la ricchezza del papa. Contro gli Albigesi, rei soltanto di non pensarla come lui, Innocenzo promuove una “crociata”, che finisce con la strage degli stessi. È una pagina nera nella storia del papato.
Sotto Innocenzo III ha luogo un evento di capitale importanza non solo nella storia della chiesa, ma anche di quella della società in generale, il IV concilio Lateranense (1215), che, fra le altre cose, sostituisce la confessione pubblica con quella personale, che favorisce l’introspezione e lo sviluppo di una sfera individuale, da cui prenderanno origine la psicologia e la psicanalisi. Il concilio riforma anche il matrimonio, che finisce di essere il semplice esito di trattative fra clan e diventa l’unione libera e indissolubile fra due persone. Il concilio condanna anche gli ebrei, l’usura e l’eresia, gettando così le basi per l’istituzione dell’Inquisizione. “In pratica, la lotta contro l’eresia evidenzia i meccanismi di potere. Così la Chiesa esercita pressioni sui poteri laici: se non si comportano come signori «cristianissimi», cacciando l’eresia, la loro legittimità rischia di vacillare. In cambio, i poteri laici, quando affrontano dissidenze sociali o politiche, hanno tutto l’interesse a denunciarle come eresie e obbligare la Chiesa a legittimare le loro azioni” (LE GOFF 2003: 125).

06. 1. San Francesco d’Assisi (1181-1226)
Di Francesco bambino e ragazzo non sappiamo nulla, a parte il fatto che è nato ad Assisi da un certo Pietro di Bernardone, un mercante di stoffe e forse anche un usuraio, che gli offre condizioni di vita agiata e che ripone su di lui speranze di elevazione di status sociale, magari grazie ad una carriera che lo potrebbe far diventare un rispettato cavaliere o un accorto matrimonio, che potrebbe farlo entrare nel rango nobiliare. In un primo momento, il giovane F. fa suoi questi sogni del padre, ma poi si rende conto che non è tagliato per quella vita. Si sente invece attratto da cose più semplici, come l’incanto della natura, lo stupore della creazione, l’amore di Dio, la condivisione, il sorriso, e scopre che il mondo che gli offre suo padre non lo interessa più di tanto.
Il giovane F. decide che è meglio seguire le proprie inclinazioni e si getta “verso l’ignoto entrando in un bosco, cantando in francese le lodi di Dio” (FRUGONI 2001: 30). Gli altri non lo capiscono, nemmeno i frati ai quali chiede accoglienza. Nessuno è disposto a giustificare la sua scelta di voltare le spalle ad una vita “normale” per abbracciarne una di estrema povertà. Il giovane non si perde d’animo e si rifugia in un lebbrosario. Gli altri lo prendono per matto, e F. continua ad offrire nuovi spunti per confermarli nel loro giudizio. Gira le case a chiedere sassi per riparare le crepe delle chiese e non disdegna gli avanzi di cibo.
Per suo padre non ci può essere vergogna più grande, ma qualcuno si sente attratto da quello strano giovane e si mette al suo seguito, accettando di vivere il cristianesimo puro e rifiutando perfino di diventare preti o monaci, per non beneficiare dei privilegi conferiti dall’ordine. La distanza che separa lo stile di vita essenziale dell’ordine mendicante da quello sfarzoso della curia papale è immensa, eppure F. non si lascia andare in parole di critica nei confronti delle alte gerarchie ecclesiastiche, ma si sottomette docilmente alla loro autorità. “Rispetta la Chiesa ma segue le orme di Cristo” (FRUGONI 2001: 49) e prosegue il suo cammino senza lasciarsi influenzare da alcuno. Così, mentre i cristiani spagnoli combattono contro i musulmani e mentre la chiesa perseguita i catari e dà il via alla quarta crociata (1203), F. gira per le strade col suo ruvido saio predicando l’amore fraterno e la povertà assoluta e prestando il suo aiuto dovunque ce ne sia bisogno: nei campi, nelle case e nei lebbrosari.
F. rifiuta dunque la proprietà privata e il denaro e non vuole nemmeno sentir parlare di gerarchia nel suo gruppo: tutti sono “minori”. All’età di 29 anni, F. ha intorno a sé dodici compagni, con i quali si muove pellegrino nel mondo, portando l’amore di Cristo ed evangelizzando, finché, avendo compreso che non può fare a meno di darsi una qualche organizzazione, decide di fondare “un ordine mendicante, dunque mobile, radicalmente distinto dai monaci che per definizione sono sedentari” (LE GOFF 2003: 83). Il suo modello rimane Cristo, “sempre povero e pellegrino” (FRUGONI 2001: 53) e a chi gli fa notare che senza risorse la comunità non può avere futuro risponde: “Signore, se avessimo dei beni, dovremmo disporre di armi per difenderli” (FRUGONI 2001: 53). Adesso è arrivato il momento di chiedere al papa l’approvazione della propria Regola.
Il caso vuole che in quel momento sul trono di Pietro sieda Innocenzo III, uno dei papi più potenti della storia. L’incontro non può essere più contrastato: quel potente papa ha di fronte a sé un autentico pezzente. L’uomo più ricco e l’uomo più povero si guardano in faccia, ma solo per un attimo: il papa non riesce a trattenere un moto di disgusto e, sdegnato, volge altrove lo sguardo e invita quel miserabile a vivere coi porci. F. prende alla lettera l’invito e, dopo aver trascorso qualche tempo in un porcile, ritorna dal Santo Padre, il quale ha già avuto modo di valutare la situazione e comprende che gli conviene di impartirgli la benedizione. F. ormai si sente autorizzato a portare avanti la sua missione, e già comincia coi romani, che però mostrano di non gradire. Decide allora di recarsi in Marocco per predicare il vangelo ai saraceni, ma è bloccato da una malattia (1213). Intanto, la fama della sua santità si va diffondendo e il numero dei seguaci va crescendo.
Nel 1215 Innocenzo III bandisce la quinta crociata, e ciò offre a F. l’occasione di raggiungere l’esercito crociato in Egitto, dove tenta di convertire il sultano (1219). L’anno seguente ritorna in Italia e si dedica alla vita ascetica e mistica. Il suo corpo è pieno di acciacchi, un tracoma lo priva quasi del tutto della vista e per di più riceve le stigmate, che costituiscono un’altra causa di sofferenza. In queste condizioni, F. deve lottare contro le autorità ecclesiastiche ed i suoi stessi compagni, che reputano impraticabile una Regola fatta di povertà e dedizione estreme. Così, dopo un iter assai tormentato, alla fine viene approvata una Regola moderata, ma non confacente alle profonde convinzioni di F., il che equivale ad ammettere che il suo ideale ispirato alla perfetta imitazione di Cristo non è attuabile. F. muore nel 1226, all’età di 45 anni, e due anni dopo è già canonizzato.

Onorio III (1216-27) approva l’Ordine dei Predicatori di Domenico di Guzmán (1216), che s’imporrà come protagonista di primo piano nei secoli seguenti.
Gregorio IX (1227-41) istituisce i tribunali d’Inquisizione (1232) e li affida proprio ai Domenicani.
Sotto Innocenzo IV (1243-54), che assume l’ambizioso titolo di “vicario di Dio”, lo Stato della chiesa raggiunge le sue massime dimensioni storiche, estendendosi dalla Toscana alla Sicilia. Il papato non è mai stato così potente, ma deve muoversi fra altri centri di potere e il suo cammino non è facile.
Clemente IV (1265-8), francese, avvocato di grido, sposato e padre di due figli, dopo la morte della moglie si ritira in un convento certosino e inizia la carriera ecclesiale, che lo porta al soglio pontificio. La sua politica è anti-sveva e favorevole a Carlo d’Angiò, il quale, benedetto dal papa, conduce il suo esercito in Italia, sconfigge gli svevi di Manfredi a Benevento (1266) e viene incoronato re di Sicilia. Da parte sua, Carlo delude il papa, manifestando un comportamento rapace e senza scrupoli, e “una sete di dominio superiore a quella sveva” (RENDINA 1996: 390). È evidente che egli sta facendo i suoi interessi e non quelli della chiesa, come del resto anche il papa persevera nella sua politica di potenza.
Sotto Gregorio X (1271-6), si svolge a Lione il 14° concilio ecumenico, in cui si ritorna a parlare dell’elezione del papa. Il problema da risolvere è l’abituale lungaggine dell’elezione, a causa della difficoltà di raggiungere la prevista maggioranza dei due terzi. Il problema viene risolto con la costituzione del conclave (1274). In pratica, alla morte di un papa si concedono nove giorni per eseguire i funerali e dare tempo ai cardinali di riunirsi. Nel decino giorno essi vengono rinchiusi in un’ampia stanza comune (o conclave) “non intramezzata da muri o da tende e munita di una finestrella per l’introduzione di cose necessarie, mentre la porta viene sprangata dai due lati e affidata alla guardia dei magistrati cittadini, per interrompere ogni comunicazione fra l’interno e l’esterno. Se l’elezione non viene fatta in tre giorni, la mensa dei cardinali è ridotta a un piatto per pasto e dopo l’ottavo giorno sono messi a pane, acqua e vino” (GIBBON 1967: 2774). Oltre a ridurre i tempi necessari all’elezione, il conclave si prefigge lo scopo di rendere la votazione un atto esclusivo del collegio cardinalizio e creare le condizioni affinché esso non subisca influenze dall’esterno.
Purtroppo, questi obiettivi rimarranno semplici desideri. Essi celano, tuttavia, la caparbia volontà dei papi di rendersi indipendenti da ogni altro potere e di realizzare un’autocrazia assoluta e universale e, anche se ciò, al momento non è possibile, nulla vieta ad un papa, come Niccolò III (1277-80), uomo energico e spregiudicato, di curare i suoi interessi mondani e di riportare il nepotismo a livelli mai visti.
Intanto, in Sicilia scoppiano i Vespri: i siciliani vogliono cacciare gli angioini e chiedono al papa di assumere la sovranità dell’isola. Ma papa Martino IV (1281-5), che è francese e parteggia per i francesi, risponde condannando la rivolta e scomunicando i siciliani, i quali allora si rivolgono a Pietro d’Aragona, che viene colpito a sua volta dalla scomunica.
La spocchia papale ha raggiunto livelli tali da suscitare un profondo desiderio di moralità perfino nei cardinali, che decidono di elevare al soglio pontificio Pietro da Morrone, un eremita, il quale assume il nome di Celestino V (1294). Ma Pietro è un uomo troppo semplice e costumato per poter tollerare lo sfarzo e il materialismo della corte papale e si dimette dalla carica.
Vuole ritornare al suo eremo, ma il neoeletto papa Bonifacio VIII (1294-1303), temendo un suo ripensamento, lo fa rinchiudere in una prigione, dove il povero Pietro muore. Inizia con questo gesto indegno il pontificato di Bonifacio, che ripropone l’atteggiamento di sprezzante superiorità dei suoi predecessori, nella pervicace, infondata e patologica convinzione che il papa è, o dev’essere, il dominatore del mondo. L’autocompiacimento di questo papa è tale da sfociare in una vera e propria idolatria narcisistica, che trova espressione nelle numerose statue che lo stesso fa erigere alla propria persona. Il caso vuole che, di fronte ad una personalità così vanagloriosa, si erga un’altra personalità altrettanto piena di sé, che risponde al nome di Filippo il Bello, re di Francia, il quale manifesta una ferma insofferenza ad ogni dipendenza e proclama la sua sovranità. Bonifacio risponde con le bolle Ausculta fili (1301) e Unam Sanctam (1302), dove ribadisce il concetto che solo il papa è posto da Dio al di sopra di qualsiasi sovrano e tutti devono assoggettarsi a lui. Bonifacio è l’ultimo papa ad esprimere con forza quest’idea di grandezza.

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